particolare della vetrata dell'abside della parrocchia foto del papa Giovanni Paolo secondo che incorona la statua della Madonna "La Parrocchia è una casa di fratelli, resa accogliente dalla Carità"
Giovanni Paolo II alla Comunità di Torre Spaccata

Diocesi di Roma
S. MARIA REGINA MUNDI
Padri Carmelitani della Provincia Italiana
[sei in: SPIRITUALITÀ/celebrazioni]

SCUOLA DI PREGHIERA: Pregare con il cuore
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Terza lezione

foto tramonto Sui sentieri della gente
A nessuno piace tiepido! Potrebbe essere il titolo di un film oppure lo slogan di qualche spot pubblicitario, ed invece è possibile che sia una convinzione diffusa nel vivere comune di tutti noi.
Ciò che è tiepido non ci piace, perché sa di sciapo, di incolore, di rassettato alla meglio. Ciò che ci affascinano sono le esperienze e le emozioni forti.

In amore si cerca il grande amore, rosso e caldo; un amore tiepido sa di vita insieme ormai sbiadita ed abitudinaria, rassegnata e stanca. Per divertirsi si cercano emozioni forti come la vittoria sudata della squadra del cuore, il goal che all’ultimo minuti libera da un terribile pareggio. E che dire dei nuovi divertimenti dei nostri ragazzi che su schermi e video games cercano di vivere le emozioni di avventure imprevedibili, di agguati nascosti, e di prove di coraggio e forza da superare?
E delle emozioni che si cercano sfidando la legalità, giungendo a mettere in pericolo della vita lanciandosi nel vuoto con un elastico ai piedi, correndo per le strade ad alta velocità o cercando i posti dove la musica batte più forte?
Il tiepido non piace a nessuno: ciò che affascina è la passione; la misura della vita diventa l’eccesso, la competizione, lo stupefacente, l’imprevedibile.

Eppure c’è una dimensione dove il rifiuto del tiepido non ha ancora attecchito: la fede.
A Dio lasciamo la tiepidezza del nostro impegno e dei nostri piccoli compromessi.
La tiepidezza la riserviamo alle persone scomode, che liquidiamo con un sorriso artificiale che suona come una porta chiusa ma che, sotto la parvenza della buona educazione, salva dalla brutalità e domina i veri sentimenti.
La stessa tiepidezza la riserviamo a Dio al quale vanno i nostri rituali domenicali, ripetitivi e talvolta senz’anima, le nostre preghiere a memoria e quel pizzico di cuore in più, soprattutto di smarrimento e di paura che sale quando la vita diventa più difficile e poiché sfugge al nostro controllo, abbiamo bisogno di un Dio che ci sollevi dall’angoscia.
Se un amico mi tratta con tiepidezza capisco che qualcosa non va più fra noi due; se in una coppia si stabilisce la tiepidezza vuol dire che la passione di un tempo è tramontata.
La tiepidezza, se tradotta in parole non porta con sé messaggi rincuoranti e quando la riserviamo a Dio cosa gli stiamo a dire?

foto porta

La Parola del Maestro
“All’angelo di Laodicea scrivi: così parla l’Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio: conosco le tue opere, tu non sei né caldo né freddo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla”, ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo.
Ti consiglio di comperare da me oro purificato nel fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti, nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungere gli occhi e recuperare la vista.
Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti. Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.”  (dal libro dell’Apocalisse 3,14-20)

Rifletti
Questo brano dell’Apocalisse risuona come un piccolo testo ricco di intimità e di vicinanza.
E’ Gesù che si presenta come un pellegrino che bussa alla porta della nostra vita chiedendo ospitalità e mostra il suo desiderio di entrare nello spazio della nostra esistenza in modo intimo, familiare, confidenziale.
Il brano però non ha sempre gli stessi toni di dolce prossimità; infatti poco sopra dice: “Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca”.
Insomma, Gesù vuole entrare nella mia vita, vuole creare intimità amorosa con me, ma c’è un ostacolo che in qualche modo impedisce la Sua azione, che blocca l’agire di Dio e suscitala Sua repulsione: la tiepidezza.
La tiepidezza è un male che non si trova tanto distante da noi.
Essa si nasconde dietro il fare sufficiente, di chi si dice contento di se stesso, di chi non sa mai mettersi in discussione, di chi confida in ciò che possiede, di chi sente di valere per quel che fa e che sa fare.
La tiepidezza è tipica di chi confida in se stesso e gode compiaciuto dell’immagine che, con fatica, mostra e difende stando in mezzo agli altri.

C’è anche una tiepidezza nella sequela. Sì, è possibile che talvolta nel seguire il Maestro si batta la fiacca, che l’entusiasmo dell’inizio si smorzi, che l’abitudine o forse le delusioni accumulate, ci inducano a vivacchiare dietro al Maestro.
La tiepidezza sa di sufficienza, sa di minimo necessario, sa di poco coinvolgimento.
La tiepidezza lotta contro la totalità, non conosce rischio, non rasenta la fiducia.
La tiepidezza ci difende e ci protegge dalla chiamata a donare tutto, perché donare tutto significa un tale dispendio di noi stessi che certo non è indolore.
La tiepidezza ci libera dalla possibilità della chiamata estrema e radicale dell’odiare anche la propria vita per abbandonarci nelle mani del Maestro.

foto persona solaCosa fa Dio di fronte al tiepido?
Lo abbiamo ascoltato: sta alla porta e bussa.
Dio bussa perché più il cuore dell’uomo è lontano e più Lui circuisce e lavora ai fianchi il cuore delle persone.
Dio è un grande seduttore, ce lo dice il profeta Geremia, e della Sua seduzione possiamo aver fiducia perché Egli non ci cerca per ostentare orgogliosamente la Sua conquista, ma per farci dono di una vita nuova da vivere in pienezza.
Dio perciò bussa al nostro cuore tiepido ed il suo bussare è quel malcontento che a volte ci invade, quel bisogno di un ‘di più’ che non riusciamo a decifrare, quel senso di rimorso che a volte percepiamo, quel velo di disagio di noi stessi che, in qualche modo, offusca le nostre giornate.
 
Allora cosa fare se dentro di me vivo tutto questo?
Bisogna toccare il fondo, riconoscendosi dinanzi a Dio poveri e peccatori.
Fino a quando non sentiremo di non bastare a noi stessi, fin quando non sperimenteremo che, oltre ogni successo e cosa buona e bella che abbiamo potuto costruire o conquistare, si nasconde sempre un bisogno di infinito e la nostra incapacità a soddisfarlo, noi vivremo sempre di tiepidezza.
Bisogna sentire la nostra radicale povertà: solo quando capiremo che non riusciamo ad avere la bellezza e la pienezza della vita da noi stessi, ma che questa è un dono da ricevere nel totale vuoto e nella nuda povertà del nostro cuore, solo allora saremo davvero liberi ed intimi amici di Dio.
Tutto ciò significa che quando preghiamo dobbiamo disporci dinanzi a Dio poveri e riconoscerci peccatori.
Il nostro pentimento, il nostro guardarci dentro con verità, nella nostra realtà di peccatori è la porta che si apre all’azione di Dio.
Il pentimento però non può essere solo una parola detta con rimorso. Il grido “Abbi pietà di me che sono peccatore” non deve uscire solo dalle labbra, ma deve esprimersi anche con gesti concreti. Se i comportamenti non cambiano vuol dire che gli atteggiamenti più profondi del cuore non sono mutati.
Il pentimento, che è uno stato del cuore, deve tradursi in un comportamento che lo rafforzi e che sia l’inizio di un nuovo modo di vivere, distante dalla condotta di prima, dalla situazione di peccato.

Come si apre la porta a Dio che bussa?
Prima di tutto occorre umiltà.
L’abbiamo ribadito più volte: è necessario riconoscersi peccatori. Occorre toglierci la maschera e metterci dinanzi a Dio nudi e spogli. La preghiera è fare il punto della situazione con sincerità rude e senza sconti. Non prendiamoci in giro e non abbiamo paura di ‘toccare’ la nostra carne ed i nostri nervi scoperti.
L’umiltà su noi stessi deve poi aprirci all’umiltà su Dio, ossia a far verità su chi è Dio per me.
Il passaggio è: io sono peccatore ma, nonostante tutto, Dio mi ama. Dio mi ama! Questo è il centro ed il fuoco della preghiera, che deve incendiare il nostro rapporto con Dio. Noi non siamo pienamente convinti di questa verità di fede, essa non è entrata pienamente in noi, dentro la nostra carne e dentro il nostro spirito. Dio mi ama! Sono peccatore ma Dio mi ama! Nel cuore di Dio c’è questa essenza profonda: Lui mi ama!
Il riconoscimento dell’amore di Dio per me schiude un altro passo: il ringraziamento.
L’amore di Dio si esprime nei doni che Lui riversa nella mia vita ed il cristiano deve saper vivere con lo sguardo che contempla l’esistenza, trovando in essa i segni del passaggio e della provvidenza di Dio.
Vivere da poveri dinanzi a Dio non significa solo riconoscersi in quello che non siamo ed in tutto ciò di cui siamo sprovvisti; il povero di spirito è colui che si riconosce dipendente da Dio, è colui che si riconosce come un immeritevole ricettore di doni e di “grazia su grazia”.
Il ringraziamento poi apre all’amore…

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Esercizio pratico di preghiera
Trova uno spazio di almeno mezz’ora e va nel tuo angolo della bellezza.
I primi dieci minuti li dedicherai allo Spirito Santo perché ti aiuti a fare verità su di te.
“Spirito Santo vieni, fai verità dentro di me…Spirito Santo fammi riconoscere ciò che sanguina in me…fammi riconoscere ciò che è sordido…fammi riconoscere le mie durezze…fammi riconoscere ciò che in me è arido….fammi riconoscere ciò che in me è sviato….fammi riconoscere ciò che in me è gelido…”
Sotto l’azione dello Spirito domandati qual è l’ultima mancanza che hai commesso: qual è il peccato che più ti pesa? Chiedi pietà al Signore.
Rileggi il brano dell’Apocalisse.
Lui non ti vuole tiepido. Lui vuole che prendi una posizione chiara nella vita. Se sei qui è perché vuoi stare dalla Sua parte, vuoi entrare in intimità con Lui. Non vuoi né la tiepidezza, né il freddo. Chiedi allo Spirito che ti illumini ancora: “Signore qual è il primo passo per la mia conversione?”. Prendi una decisione chiara e convinta che valga già per l’oggi.
Poi rivolgiti al Padre con gratitudine.
Pensa a quanto di bello hai ricevuto oggi. Non c’è giornata che non abbia almeno un dono da Dio. Cerca tutte le cose belle che oggi hanno costellato qua e là il tuo quotidiano. Pensa ad ognuna di esse e per ognuna di esse dì: “Grazie Padre!”. Sono sicuramente cose piccole, spicciole ma non lasciarle cadere come se fossero troppo piccole e scontate. Dì a Dio il tuo grazie.
Pensa ai grandi doni ricevuti nella vita, a tutti i beni ricevuti nel corso della tua esistenza.
Prega dicendo a Dio: “Padre mio, mio tutto!”. Poche volte diciamo “grazie” a Dio. Lo facciamo in genere poche volte anche con gli altri, sono rare le situazioni in cui ci sentiamo stupiti per un gesto gratuito. Lo diciamo poco a chi sta intorno a noi e pochissime volte a Dio. Mettiti dinanzi a Lui e con amore digli:  “Padre, nel nome di Gesù ti ringrazio”.

Leggi il salmo 138

Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Penetri da lontano i miei pensieri,
mi scruti quando cammino e quando riposo.
Ti sono note tutte le mie vie,
la mia parola non è ancora sulla lingua e tu, Signore,
già la conosci tutta.
Alle spalle e di fronte mi circondi
Poni si di me la tua mano.
Stupenda per me la tua saggezza,
troppo alta ed io non la comprendo.
Dove andare lontano dal tuo spirito,
dove sfuggire dalla tua presenza?
Nemmeno le tenebre per te sono oscure,
e la notte e chiara come il giorno.
Per te le tenebre sono come luce.

Ora affidati alla Madre nostra del Cielo, Maria Madre della Tenerezza e prega lentamente l'Ave Maria.

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