La solennità di Cristo Re dell'Universo
Il tempo ordinario comincia con la festa del Battesimo di Gesù e si conclude con la festa di Gesù Cristo, Re dell'universo, tracciando un arco che va dalla proclamazione dell'identità di Gesù da parte del Padre, al nostro riconoscimento di Gesù, signore del mondo e della storia.
Questo riconoscimento, tuttavia, non ha niente di trionfalistico. La liturgia di questa festa ci invita a considerare la qualità della regalità di Gesù, facendoci ascoltare una pagina che pare contraddire l'idea stessa di regalità. Il vangelo infatti ci porta sul Golgota, nell'imminenza della morte di Gesù. Dunque non siamo davanti a una scena di vittoria, non siamo nella luce gloriosa della risurrezione, ma nel momento in cui la regalità è smentita e contraddetta dai fatti, è resa impotente, è schernita e derisa.
Un po’ di storia
Non appena elevato al soglio pontificio, nel 1922, Pio XI condannò esplicitamente il liberalismo "cattolico" nella sua enciclica Ubi arcano Dei. Egli comprese, però, che una disapprovazione in un’enciclica non sarebbe valsa a molto, visto che il popolo cristiano non leggeva i messaggi papali.
Il pontefice pensò allora che il miglior modo di istruirlo fosse quello di utilizzare la liturgia.
Di qui l’origine dell’enciclica Quas primas dell’11 dicembre 1925 che, a coronamento del Giubileo che si celebrava in quell’anno, istituiva questa festa nella quale egli dimostrava che la regalità di Cristo implicava (ed implica) necessariamente il dovere per i cattolici di fare quanto in loro potere per "accelerare e affrettare questo ritorno [alla regalità sociale di Cristo] coll’azione e coll’opera".
Dichiarava, quindi, di istituire la festa di Cristo Re.
Pio XI insegnava che Cristo è veramente Re e il suo regno, spiegava ancora Pio XI, "principalmente spirituale e (che) attiene alle cose spirituali", è contrapposto unicamente a quello di Satana e delle potenze delle tenebre. Il Regno di cui parla Gesù nel Vangelo non è, dunque, di questo mondo, cioè, non ha la sua provenienza nel mondo degli uomini, ma in Dio solo; Cristo ha in mente un regno imposto non con la forza delle armi, ma tramite la forza della Verità e dell'Amore.
Gli uomini vi entrano, preparandosi con la penitenza, per la fede e per il battesimo, il quale produce un’autentica rigenerazione interiore. Ai suoi sudditi questo Re richiede, prosegue Pio XI, "non solo l’animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce".
Tale Regno, peraltro, già mistericamente presente, troverà pieno compimento alla fine dei tempi, alla seconda venuta di Cristo, quando, quale Sommo Giudice e Re, verrà a giudicare i vivi ed i morti, separando, come il pastore, "le pecore dai capri" (Mt 25, 31 ss.). Si tratta di una realtà rivelata da Dio e da sempre professata dalla Chiesa e, da ultimo, dal Concilio Vaticano II, il quale insegnava a tal riguardo che "qui sulla terra il Regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione" (costituzione Gaudium et spes).
Con la sua seconda venuta, Cristo ricapitolerà tutte le cose, facendo "cieli nuovi e terra nuova" (Ap 21, 1), tergendo e consolando ogni lacrima di dolore e bandendo per sempre il peccato, la morte ed ogni ingiustizia dalla faccia della terra. Sempre il Concilio scriveva che "in questo regno anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio" (costituzione dogmatica Lumen Gentium).
Per questo i cristiani di ogni tempo invocano, già con la preghiera del Padre nostro, la venuta del Suo Regno ed, in modo particolare durante l’Avvento, cantano nella liturgia "Maranà tha", cioè "Vieni Signore", per esprimere così l’attesa impaziente della parusia (cfr. 1 Cor 16, 22).
(elaborazione da santiebeati.it)