Nella nostra chiesa sono custodite molte reliquie ma non tutti i fedeli sanno con precisione dove sono poste e, più cosa più importante, a quali santi, martiri e beati appartengono.
Mentre lasciamo ai due approfondimenti posti alla fine di questa pagina, il compito di spiegare il significato storico e devozionale delle reliquie, diamo una descrizione particolareggiata di quanto custodiamo.
Sono tre i luoghi ben precisi che custodiscono le reliquie: l’Altare maggiore (vi sono state inserite il giorno della consacrazione), l’Altare della Cappella feriale (erano prima nel precedente altare di legno della prima Cappella costruita) e nel Reliquiario posto sotto il tabernacolo e accessibile dal retro del presbiterio (foto a lato).
Nell’Altare maggiore abbiamo reliquie di santi carmelitani: S. Simone Stock, S. Angelo di Sicilia, S. Alberto di Messina, S. Teresa di Lisieux e di vari martiri non specificati.
Nell’Altare della Cappella feriale abbiamo reliquie di S. Filippo apostolo, S. Sebastiano martire e S. Bonaventura.
Nel Reliquiario sono custodite le reliquie di: S. Francesco (frammento dello scapolare), S. Benedetto, S. Scolastica, S. Emidio, S. Vincenzo Ferreri, S. Francesco Saverio, S. Pier Canisio, S. Teresa d’Avila, S. Ignazio di Loyola, S. Giovanni Berchmans, S. Stanislao Kostka, S. Alfonso De’ Liguori, S. Paolo della Croce, S. Francesca di Chantal, S. Gregorio Barbarigo, S. Francesco De Geronimo, S. Gemma Galgani, S. Bernadetta Soubirous (frammenti dell’abito e capelli), S. Teresa di Lisieux, S. Gabriele dell’Addolorata, S. Maria Goretti, S. Pio da Pietrelcina, dei Beati Pio XI, Giovanni XXIII, della Beata Maria del Patrocinio di san Giuseppe (martire carmelitana), della Beata Maria Teresa di Gesù (fondatrice della Congregazione delle Suore di Nostra Signora del Carmelo) e del Venerabile Angeolo Paoli.
Sempre all’interno del Reliquiario, in una piccola teca, sono custodite le reliquie di: S. Alfonso, S. Antonio abate, S. Nicola, S. Antonio di Padova, S. Andrea Corsini, S. Giovanni della Croce, S. Giovanni Berchmans, S. Benedetto Giuseppe Labre, S. Caterina da Siena, S. Caterina da Bologna, S. Cecilia, S. Genoveffa e un frammento della Santa Casa della B.V.M. (di Loreto ?).
Infine in una stauroteca (dal greco stauròs, croce) un frammento della Santa Croce (di queste ultime due teche, vedere la foto ingrandita in basso).
Per avere informazioni biografiche sui singoli santi, potete consultare l’Enciclopedia dei santi, dei beati e dei testimoni.
Alcune notizie sul significato, la storia e il culto delle reliquie.
“Il Santo Concilio comanda ai vescovi e a coloro che hanno la funzione e l'incarico di insegnare [...] di istruire con cura i fedeli sugli onori dovuti alle reliquie [...], mostrando loro che i corpi santi dei martiri e degli altri santi, che vivono con il Cristo e che furono membra viventi di Cristo e tempio dello Spirito Santo [...], attraverso cui benefici numerosi sono accordati da Dio agli uomini, devono essere venerati dai fedeli”.
I decreti del Concilio di Trento 984 e 985, che fissano le linee di fondo della dottrina cattolica sulle reliquie, rappresentano il punto di arrivo di un processo, che affonda le sue radici nella pietas dei primi cristiani verso il corpo dei martiri. Essa riflette, almeno alle origini, non tanto il culto riservato dal mondo grecoromano agli eroi-culto che, al tempo in cui apparve il cristianesimo, mal si distingueva da quello riservato agli dèi, quanto piuttosto gli usi funerari normali.
Essi consideravano la sepoltura, la cura del corpo del defunto, le feste commemorative della morte, come doveri sacri; leggi rigorose proteggevano il luogo della sepoltura come luogo sacro, ne vietavano la profanazione e impedivano lo spostamento del corpo. L'importanza che il martirio assunse nella teologia, nell'apologetica, nella vita dei cristiani dei primi tre secoli sviluppò un vero culto dei martiri e delle loro reliquie, di cui il documento più antico è il Martyrtum Policarpi.
Nel culto delle reliquie, soprattutto per quanto riguarda gli sviluppi successivi al III sec. confluisce - accanto alla pietas funeraria amplificata dalle dottrine relative al martirio e alla santità - anche l'idea che la potenza salvifica degli uomini di Dio sia un qualche cosa di fisico, che rimane inerente al corpo, vivo o morto, del santo, e che, da questo, possa trasmettersi agli oggetti che, in forme più o meno dirette, ne sono venuti in contatto.
È una concezione molto antica, che si trova nella tradizione giudaico-cristiana (ad esempio, in 2 Re 2, 14 il prodigio operato dal mantello di Elia, ripreso dal miracolo evangelico dell'emorroissa. In Luca 8, 46 Gesù dice: “Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me”), ma che è precedente ad essa e riflette una concezione magica delle reliquie.
Nel IV secolo, placatesi le grandi persecuzioni, si cominciano a comporre le agiografie dei santi che ne descrivono la morte. Sono le Passioni, documenti che, nel rappresentare l’eroismo con cui erano stati affrontati i supplizi più raccapriccianti, riflettevano l’ammirazione delle comunità cristiane per i martires, ai quali si aggiungevano i confessores, coloro che avevano sofferto per la fede senza morire.
Essere battezzati vicino ai martiri e farsi seppellire accanto ai loro corpi, significava fruire di una protezione speciale, in quanto essi potevano trasmettere un’energia e una carica di grazia, atte a produrre miracoli, cosicché il loro sepolcro diventa nel tempo un vero e proprio oratorio.
Rilevante, secondo la tradizione, l’opera di Elena, madre di Costantino, che dedica l’ultima parte della sua vita a raccogliere reliquie, tanto che, nei secoli passati, per attribuire autorità a un reperto, se ne faceva risalire a lei l’origine.
Dopo che l’uso di porre reliquie sotto le mense degli altari per consacrarli, già riconosciuto dal V Concilio Cartaginese (398), diventa un obbligo con il II Concilio di Nicea, la pratica si espande a tal punto che, insieme alle tombe, si venera la polvere raccolta vicino alla sepoltura, l’olio delle lucerne, i frammenti di pietra, iniziando un percorso che porterà ai grandi cimiteri barocchi della santità.
La Chiesa romana, all’origine contraria alla traslazione e alla manomissione dei corpi dei santi, venerati nelle basiliche “ad corpora”, alla continua richiesta di frammenti dei corpi dei martiri, risponde donando reliquie “e contactu”, cioè pezzi di stoffa, brandea, che erano venuti a contatto con le reliquie o bagnate nell’olio delle lampade che ardevano nei santuari.
Quando le basiliche cimiteriali, divenute insicure a causa delle incursioni barbariche e delle continue ruberie, furono abbandonate, le salme furono traslate nelle più sicure chiese all’interno delle mura urbane, separando talvolta le diverse parti del corpo, in modo da poter essere venerate in luoghi diversi.
Il più famoso, un vero e proprio “santuario reliquiario”, dai tempi di papa Leone III (795-817), la Cappella di San Lorenzo nel Patriarchio lateranense, l’attuale Sancta Sanctorum.
Di fronte al problema del culto delle reliquie, la Chiesa ebbe un atteggiamento tollerante, anche se S. Agostino condanna severamente i monaci erranti che le raccolgono, dicendo che alle reliquie spetta onore e non venerazione. Ma la gran massa dei fedeli, sostenuta da interessi venali, tende ad instaurare un rapporto feticistico, e la Chiesa, nel ripudiare gli eccessi, non riesce ad impedire, e talvolta difende o addirittura sollecita la diffusione di queste pratiche di devozione, senza rendersene ufficialmente responsabile.
Nascono e prendono consistenza le controversie sul significato e la legittimità di questo culto, e S. Girolamo scrive nel 406 un trattato contro Vigilanzio, un monaco francese che aveva dichiarato che le reliquie non sono altro che polvere e che i martiri non hanno potere di intercessione; e quattro secoli più tardi, lo spagnolo Claudio, vescovo di Torino, estremamente duro contro il culto delle immagini sacre, degli angeli e della croce, fu colpito dall’anatema del sinodo di Parigi (825).
Tra il VII e il XII secolo proliferano, accanto a quelle dei martiri, le reliquie che riguardano Gesù, la Madonna, gli apostoli, con la straordinaria diffusione di frammenti della Croce e dei chiodi, di gocce di latte, capelli e veli della Madonna, di frammenti della mangiatoia di Betlemme, delle lance.
Ai santi si affidano poteri taumaturgici straordinari, mentre nelle chiese e nei conventi si ammassano cataste di reliquie di dubbia origine, che vengono acquistate dai santuari per incrementare la devozione e il flusso di pellegrini, consolidando in tal modo l’autorità del luogo sacro. Le reliquie vengono rubate, contraffatte, moltiplicate, trafficate, vendute, commercializzate, oggetto di una religiosità grossolana e morbosa, che si incrementa quando ai santuari e agli altari che le conservano, vengono concesse le indulgenze.
Una prima critica approfondita delle reliquie, fu quella del monaco francese Guiberto (1053-1124), che in un libello intitolato De Pignoribus Sanctorum, demolisce l’autenticità di un celebre dente da latte che Gesù avrebbe perso a nove anni, oggetto di grande culto da parte dei Benedettini che lo esponevano nell’abbazia di San Medardo. Ai monaci che ne magnificavano i prodigi, Guiberto osservò, con una tesi che apparirà costante nella tradizione della chiesa, che la grazia ricevuta non dipende dall’autenticità dell’oggetto venerato, ma dalla fede di chi ottiene la grazia, per cui il discorso di Guiberto, rivolto contro la tolleranza delle norme ecclesiastiche, non pone in discussione le radici profonde di una pratica ormai consolidata.
I riformatori saranno in seguito particolarmente duri contro questi costumi, tanto che nel Concilio Tridentino si dovette ribadire che “la Chiesa, secondo la sua tradizione, venera i santi, le loro reliquie autentiche e le loro immagini”, il cui significato è collegato al messaggio cristiano espresso dal santo, condannando coloro che affermavano il contrario. L’argomento viene però regolamentato, sotto il profilo giuridico e teologico, e si stabilisce l’intervento dell’autorità vescovile per l’introduzione e l’autenticazione di nuove reliquie.
Nel Cinquecento, grazie anche all’interesse suscitato da S. Filippo Neri, a Roma si riprendono le ricerche delle reliquie negli antichi cimiteri cristiani, riesumando corpi santi (“martiri inventi”), che venivano trasferiti nelle chiese della città, essendo sufficiente talvolta il ritrovamento di un epitaffio recante i simboli della fede o di un semplice balsamario, come prova dell’avvenuto martirio.
Sarà Pio XI ad istituire il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, nell’intento di assegnare il massimo rigore scientifico e storico nel riconoscimento delle sepolture dei martiri.
Per quanto riguarda i resti corporali, il Codex Juris Canonici stabilisce quali sono le reliquie “insigni”:
“il corpo, la testa, il braccio, l’avambraccio, il cuore, la lingua, la mano, la gamba e la parte del corpo che fu martirizzata, purché sia intera e non piccola”,
considerando le altre reliquie secondarie, e riconfermando, per la dichiarazione di autenticità, l’intervento di un esperto.
Le reliquie non consistono solamente nei resti mortali dei santi canonizzati o dei beati, ma anche negli oggetti a loro collegati, come vesti, attrezzi da lavoro, strumenti del martirio, che acquistano maggior valore quanto più sono stati a contatto con il santo. Il culto delle reliquie, inteso come onore ai santi defunti, è volontario in quanto raccomandato, ma non imposto, dalla Chiesa. La venerazione per un’oggettualità “magica”, è un atteggiamento che continua nella tradizione dei grandi pellegrinaggi verso i santuari maggiori, attestato anche dallo sconcerto provocato dai furti di oggetti legati al santo protettore o all’immagine venerata.
Nelle basiliche patriarcali e nelle chiese romane sono custodite innumerevoli reliquie, un patrimonio devozionale che viene conservato ed esposto ai fedeli, in permanenza o in occasione delle loro ricorrenze.
Il primo elenco moderno aggiornato delle reliquie contenute nelle chiese romane si deve a Xavier Barbier de Montault, (L’année liturgique a Rome, 1870), mentre nel Diario Romano per l’Anno del Signore 1926 vengono segnalate tutte le cerimonie dei santi e l’esposizione delle loro reliquie. Placido Lugano in Le Sacre Stazioni Romane riporta l’elenco delle reliquie insigni possedute dalle basiliche romane (1960).
[Fonti: www.romacristiana.it/reliquie_sacre.htm e www.santagnese.org/reliquie.htm]
Che cos’è la reliquia e cosa rappresenta nella Chiesa cattolica?
La parola reliquia ha origine dal latino reliquiae, resti. È una memoria fisica, la testimonianza viva di un santo o di un beato. Nella Chiesa ha sempre avuto un valore grande, perché ci riporta alla concretezza storica come un resto, una presenza del passaggio storico di questo santo. Un altro valore la reliquia ce l’ha per il rapporto fisico che il santo ha avuto con l’Eucaristia, con il Signore Dio, un rapporto anche sacrale. Il valore del corpo di un battezzato, per unione di grazia, è un corpo-tempio dello Spirito Santo. Ma quello di un santo lo è ancora di più, perché ha vissuto nella sua carne questa santità, comunione di grazia con Dio, e il suo corpo è stato abitato dalla stessa grazia in maniera solenne. La reliquia permette di mantenerci quasi in contatto con questo corpo. Nella storia le reliquie hanno avuto un ruolo importante anche nel combattimento contro lo spirito del male, perché la reliquia non è amata dal diavolo, essendo una realtà fisica che ha un rapporto speciale con la grazia.
Ci sono due classi di reliquie…
La prima classe è costituita dal corpo; la seconda invece dagli indumenti o dagli oggetti che sono stati in contatto con il corpo di un santo, vivo o morto. Gli oggetti che sono stati a contatto con la tomba hanno invece un valore simbolico, affettivo, e vengono chiamati “ricordi”. Il gesto di strofinare l’oggetto che usiamo tutti i giorni, per esempio il rosario sulla tomba, ha soltanto valore devozionale.
Quando possiamo cominciare a venerare il beato o il santo?
La venerazione comincia durante il rito di beatificazione: le reliquie vengono portate solennemente sull’altare e la Chiesa solo da questo momento permette la venerazione delle reliquie del santo in modo pubblico. Nel corso del processo di beatificazione e canonizzazione non è permesso di venerare il Servo di Dio in questo modo. Nel caso di Giovanni Paolo II, che tutti abbiamo venerato da vivo per l’affetto che avevamo per lui e per la sua santità di vita, il santino ex indumentis - pezzetto della sua tonaca - per ora lo possiamo usare in modo privato, come ricordo di una persona cara. Bisogna essere sempre prudenti e avere molta pazienza obbedendo alla Chiesa, aspettando che sia la Chiesa stessa a proclamarlo santo, e questo porterà molta gioia umana e spirituale.
Chi può avere le reliquie?
La reliquia della prima classe può essere data chiaramente solo per culto pubblico, quindi per una chiesa, per un oratorio, un seminario. Sempre sono state poste sotto l’altare delle chiese perché proprio l’altare dove si celebra l’Eucaristia porti nel suo fondamento la memoria viva di coloro che sono stati uniti al sacrificio del Cristo con la loro vita. Non si possono assolutamente vendere o comprare le reliquie (di nessun genere) perché sono una cosa sacra, non hanno prezzo. Il problema della vendita di reliquie è molto diffuso su internet e mi permetto di dire che questo è un sacrilegio. Ovviamente le reliquie sono vere quando sono controfirmate dal vescovo.
Quali sono le più antiche reliquie nella storia della Chiesa?
Le reliquie portate da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino I dalla Terra Santa, sono i chiodi della Croce, la scala del palazzo di Pilato o la reliquia della Croce di Gesù, che si trova a Roma nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Sono le reliquie che la tradizione venera da 1700 anni e ovviamente hanno molto valore per noi, per la nostra preghiera perché ci riportano direttamente all’epoca del Signore. Anche la Sindone di Torino è una reliquia insigne, impressionante per il suo valore. A Manoppello il velo della Veronica fa parte invece delle reliquie che hanno grande probabilità di verità sulle quali però non possiamo esprimerci con certezza.
Spesso la gente, richiamata dalla curiosità o per la devozione popolare, visita un santuario solo per vedere la testa di Santa Caterina o la gola di Sant’Antonio. La devozione delle reliquie non disturba la viva presenza di Cristo nel Tabernacolo?
Sempre dobbiamo mantenere la gerarchia: il primo posto lo occupa l’Eucaristia; poi abbiamo la Parola di Dio e infine le reliquie, comprese le immagini sacre, ricordando che le immagini sono funzionali alla preghiera. È importantissimo ricondurre alla giusta devozione per la reliquia, perché è facile cadere nella superstizione. La reliquia non è un amuleto. Allora: vado in chiesa, prima mi inginocchio davanti all’Eucaristia poi, magari, vado a venerare il santo, perché sento la sua protezione. Il santo prega per noi e noi possiamo pregare per il santo che a sua volta intervenga presso il Signore, fine ultimo della nostra preghiera. Quando bacio la reliquia di un santo è come se baciassi la Misericordia di Dio che si è realizzata in questo santo. Quando prego davanti al corpo di un santo, ringrazio Dio che ha sostenuto questa persona nel cammino verso la santità.
[Tratto da una intervista rilasciata a Totus tuus da monsignor Marco Frisina, direttore dell'Ufficio liturgico del Vicariato di Roma pubblicata da Romasette.]