Per noi essere pellegrini è stato soprattutto accogliere un invito.
Siamo partiti accogliendo l’invito di p. Franco, timorosi e dubbiosi sulle nostre capacità fisiche e di resistenza per un cammino che sapevamo difficile e faticoso.
Anche se il gruppo che è partito dalla nostra parrocchia era piuttosto ristretto (p. Franco, Marco Mancini, Laura e Claudio Pavan, a cui si è aggiunto Paolo, un amico di un’altra parrocchia romana) non ci siamo scoraggiati e spinti dal desiderio di fare un esperienza spirituale di condivisione ci siamo uniti alla “Compagnia” di Palestrina.
La fatica è stata davvero tanta (anche se il buon Marco continuava a ripetere: “mi aspettavo di peggio!”); non è un pellegrinaggio per tutti, le difficili salite e discese della montagna, il dormire per terra sotto il cielo stellato (grazie al buon Dio non è piovuto), possono essere dei limiti concreti per persone troppo anziane o con problemi di salute.
Difficile ma non impossibile, e prova ne è la testimonianza che noi ce l’abbiamo fatta, ed abbiamo riportato a casa un’esperienza bellissima.
La Compagnia di Palestrina è stata accogliente ed incoraggiante sin dal primo momento in cui ci siamo uniti a loro: premurosa e disponibile quando sono arrivate le difficoltà .
Non ci siamo mai sentiti soli, oltre a p. Franco che si è sempre preso cura del suo piccolo gregge, avevamo un angelo custode di Palestrina in carne ed ossa, Massimiliano, che non finiremo mai di ringraziare.
Durante tutto il pellegrinaggio abbiamo goduto della presenza costante di monsignor Domenico Sigalini, vescovo della diocesi di Palestrina., che con le sue parole ed il suo esempio è stato per noi una grande guida.
Fare il pellegrinaggio alla “Santissima” è una tradizione antica e molto sentita che con i nostri occhi abbiamo visto tramandare da padre in figlio, e che non ha lasciato indifferenti neanche noi.
La condivisione della fatica e della preghiera, soprattutto nel nostro piccolo gruppo di cammino, è stata un’esperienza che ci ha unito e arricchito e che ci auguriamo di poter ripetere il prossimo anno, anche con qualche persona in più della nostra parrocchia.
Grazie ancora a p. Franco e agli amici di Palestrina.
Laura, Claudio e Marco
Siamo pronti, gli zaini ben sistemati, le scarpe da montagna con i lacci stretti alle caviglie, la bandana in testa per il sole e l’emozione di cominciare questa avventura.
E’ la sesta volta che mi accingo a salire fin lassù, ma stavolta non parto solo. In passato ero circondato da un nuvolo di parrocchiani della mia vecchia Sant’Antonio, questa volta il gruppo dei miei è più ristretto ma quel che importa è che stavolta è la mia “nuova” Santa Maria Regina Mundi ad accompagnarmi in questa salita. Sono tre, pochi potrei dire, ma nel cuore oso ripetere e sperare che l’anno prossimo saranno ancora di più.
Giungiamo a Palestrina. Il vescovo e la gente che mi conosce mi accoglie con calore e con altrettanta cordialità accolgono i romani che stanno con me. Avere gente che arriva “da lontano” per condividere questa loro tradizione che ogni anno si rinnova, li fa sentire fieri.
Partiamo in pulmann e giungiamo a Piglio.
Inizia ormai la salita.
Gli zaini sono caricati in spalla e la prima ascesa tra ciottoli e ciuffi coperti di bacche di rosa canina ci preannunzia che la fatica non sarà poca. La marcia procede ritmata dal rosario, una sosta presso un fontanile d’acqua fresca e di nuovo si va avanti mentre il tramonto e poi il crepuscolo ci avvolgono con il loro tepore di serate estive.
Sudati e sereni arriviamo ad Arcinazzo. Sono già quasi tre ore che camminiamo. Ci fermiamo per un buon riposo e per consumare qualche panino. La notte intanto scende ed il cielo è chiuso.
Alle 22,30 il gruppo si raduna. Siamo più di duecento persone. Il vescovo ha un altoparlante piazzato su di una macchina. Ci fa dono di una delle sue bellissime catechesi, poi preghiamo la compieta che non si chiude augurandoci un buon riposo ma benedicendo il cammino. Accendiamo le torce e prima di entrare nel bosco solcato da una strada piena di ciottoli sui quali è facile scivolare, invochiamo Maria con le litanie.
La marcia riprende. Ogni scivolone è una risata. Il buio ed il cammino avvicina chi non si conosce. Non importa il nome e la provenienza, una parola la si scambia un po’ con tutti. Seguo con apprensione i miei parrocchiani ma vedo che sono meravigliosamente mescolati con i prenestini ed il loro sorriso sul volto mi fa capire che per ora tutto sta andando bene.
La discesa pare che non finisca mai quando finalmente il gorgoglio fresco del fiume e le luci del fondo valle ci preannunciano la fine di quella tappa. Si arriva alla strada asfaltata, un’altra breve sosta e poi riprendiamo il cammino.
Prima che il sudore si freddi sulle spalle lo zaino le ha già coperte con il suo peso. Riprende il viaggio.
La strada asfaltata è lunga, il gruppo si scioglie, ognuno prende il suo passo, il grande raduno è lassù a Vallepietra.
Anche noi procediamo insieme. I miei compagni resistono ancora, ho una paura matta di averli invitati in una impresa che li sfianchi, ma il furgone che va su e giù e si ferma chiedendoci come va, mi rincuora: so che se si stancano non rimarranno per la via.
Il procedere del cammino è un inoltrarsi nel buio ed un camminare verso il cuore della notte. Ad un certo punto alzo gli occhi: il cielo si è aperto e le stelle brillano trapuntando di luce le vesti scure della notte. Ancora un po’ di strada ed ecco in lontananza la sagoma della montagna infuocata al centro dalle luci gialle del Santuario della Santissima: è lassù, è fin lassù che bisogna arrivare!
Chiedo ai miei compagni di non preoccuparsi per me, che vadano avanti perché voglio rimanere solo per un po’. Ho già pregato il rosario con loro ma voglio parlare con il mio Signore ad alta voce, Schiudo il silenzio del mio cuore e parlo con Lui, nella oscurità cupa della notte sento che Lui è lì vicino a me e che mi ascolta e di cose da confidargli ne ho davvero tante.
Sono cinque ore che camminiamo, la strada ha cominciato a salire in piccoli tornanti e mi pare un miraggio quando vedo il segnale d’ingresso nella piccola Vallepietra. Ci accampiamo per le strada disseminata di persone avvolte nei loro sacchi a pelo. Qualcuno chiacchiera sommessamente, molti russano sfiniti. Ci togliamo le scarpe e le immergiamo in una fonte gelida: è un ristoro per i piedi indolenziti!
Troviamo anche noi un angolo dove riposarci. Ci mettiamo vicini, felici di riposarci ed anche un po’ perplessi visto che dormiremo sopra i sampietrini. Il vescovo dorme lì vicino, il suo sonno ci fa credere che anche noi potremmo in qualche modo riposare.
Dormiamo circa tre ore, alle sei la sveglia. Ci ricomponiamo alla meglio con le ossa slogate dal nostro penitenziale giaciglio mentre un bicchiere di te caldo ci ristora. Lo zaino è di nuovo in spalla. L’alba già scolora l’oscurità notturna e noi ci avviamo giù per la valle tra rigagnoli d’acqua ed orti verdi. Passiamo per un ponte, la tradizione vuole che si raccolgano tre sassi e si scavalchi il fiume camminando all’indietro gettando le pietre rinnegando per tre volte il male. Per arrivare in vetta, per arrivare a Dio occorre liberarsi da colui che scava nei fondali della vita contro il Bene.
Arriviamo ai piedi della montagna: la salita è impervia, dopo tanta fatica l’ultimo tratto che ci spetta richiede ancora più sforzo. Invochiamo l’aiuto di Dio e cominciamo a salire. Si cammina piano, la pendenza è terribile ma qualcosa dentro da comunque forza. Ci fermiamo vicino ad una chiesetta quando il sole si solleva oltre la montagna. C’è un ruscello li vicino, anche qui la tradizione invita a compiere un gesto. In quelle acque bisogna immergere la propria mano stretta a quella di un amico. E’ un rituale ed una promessa di alleanza. Compiamo quel gesto che mi pare ancora più bello quando a compierlo sono Laura e Claudio che ricordano i loro ventitré anni di matrimonio. Il sole sale sempre più in alto. Mi vengono in mente le parole del Benedictus “…e verrà dall’alto come sole che sorge”. Dopo aver camminato nella notte solo ora credo di poter capire con quale intensità un ebreo ha chiamato il Messia “sole che sorge”. Mi guardo intorno e la natura che mi circonda è splendida: come sei grande e come sei bello oh Dio nelle meraviglie che hai creato con sapienza e amore!
Bisogna riprendere il cammino, ormai è tanto che si marcia, lo Scoglio è vicino ma le forze vengono meno. Dalle labbra esce l’invocazione “non ce la faccio più!” e quell’ultimo tratto di strada ha lo stesso sapore della vita e di quei suoi tempi in cui tutto è in salita e vivere è una lotta. Mi aggrappo alla staccionata degli ultimi metri: ancora uno sforzo e ci sono, devo andare avanti, devo farcela…quello sforzo fisico mi permette di riabitare tutti i tratti faticosi della mia vita e ricordare le sofferenze che mi hanno visitato.
Ed eccomi giunto alla spianata del Santuario. E’ prestissimo e c’è tanto silenzio. Come ogni altra volta le lacrime mi scendono dagli occhi. Mi inginocchio sfinito sulle scale del piccolo santuario che è già aperto. Sono solo, il resto della compagnia giungerà tra poco. Salgo in ginocchio le scale che mi condurranno davanti all’icona della Trinità. Sarà così il mio morire? Sicuramente anche allora arriverò sfinito ed in ginocchio, ma nella Casa ci sarà un Sorriso Eterno ad aspettarmi.
Continuo piangere in silenzio, le lacrime scendono come acqua che si riversa da un orcio pieno. Arrivo davanti all’Icona e gusto fino in fondo l’immensità di quel momento. Pregare lì davanti è ricordare tutto quello che mi pesa o che desidero, come anche rivedere nella mente tutti quelli che ho nel cuore e so che hanno bisogno di trovare Dio.
Pregare è fissare quell’Icona lasciandomi guardare da quegli occhi, non c’è bisogno di parlare perché so che Lui sa ascoltare i miei gemiti inesprimibili. In quel silenzio, alla vetta di quella salita posso solo dire “grazie” per esserci arrivato, per esserci ritornato ancora una volta. Ogni anno con un pezzo di storia in più, ogni anno con progetti di speranza e ferite che chiedono consolazione.
La compagnia è arrivata e tra poco questa piccola chiesa sarà colma di gente. Mi giro ed esco di spalle dall’altra uscita: la tradizione vuole che si esca senza voltare le spalle alla Trinità. E’ vero, gli occhi devono stare fissi su di Lui, solo con questa traiettoria dello sguardo si può vivere senza smarrirne la direzione riuscendo a trovare sempre un senso a tutto ciò che la vita ci fa sperimentare.
Il viaggio ancora non è finito. Ci saranno altre tappe e poi il ritorno a casa con il desiderio nel cuore di tornarci anche l’anno prossimo con altri amici che vorranno salire con me verso Dio.
Padre Franco